16.6.08

Il beverone estivo. l'ayran

Scrivere sul gazpacho mi ha fatto venire in mente il grande quesito dell'estate che ancora non sta arrivando. Cosa bere? Io consiglio l'ayran!

L'ayran è una bevanda tipica turca, a base di yogurt, deliziosa per le torride giornate estive e assolutamente indispensabile se vi cimentate a mangiare un doner (più conosciuto in questi lidi come kebab) sotto il sole del bosforo. E' così che si sopravvive alla digestione: con l'ayran.

L'ayran più buono si beve, ovviamente, in Turchia, prendendolo direttamente dalle grosse cisterne che qualche buon uomo diligentemente mescola... ma si può trovare anche qua in lattine o in tetrapak in alcuni kebabbari turchi. La cosa bella è che si può fare anche in casa.

Avvertenza: vi deve piacere lo yogurt. Più in generale vi devono piacere le cose acide.
Cominciamo.


Ingredienti: (x 1 persona)
  • 1 bicchiere di yogurt bianco intero, molto, molto meglio se di tipo "greco"
  • 1/2 bicchiere di acqua ghiacciata
  • un pizzico di sale
  • menta (facoltativa)
Esecuzione:

Lo yogurt è importantissimo. Il migliore sarebbe lo yogurt greco, quello molto acido e cremoso che si trova anche al banco gastronomia (ogni tanto). Può andar bene anche lo yogurt intero normale, soprattutto se siete dei fighetti, ma mi raccomando niente cagate come crema di yogurt, yogurt magro o cose così. Intero, e basta. Più sotto di così non si va. Lo so che ormai si trova solo quello magro (perché siamo delle teste di XXXXX e non sappiamo che il "grasso" dello yogurt mica fa ingrassare, macché! Anzi fa benissimo e previene pure il cancro allo stomaco ma vabbè, beata ignoranza)... della "crema di yogurt" non parlo. Quello non è yogurt, è danito. Comunque.

La preparazione è semplice. Mischiate l'acqua e lo yogurt e il pizzico di sale (attenti con il sale! Andate per gradi...). Se volete immergete le foglie di menta, fa più esotico ma a me personalmente pare che inquini il perfetto candore della bevanda. Va bevuta subito, quindi non preparate bottiglioni: non servirebbe! C'è chi predilige del cetriolo frullato piuttosto che l'acqua: senza dubbio rinfrescante ma non mi garba. Poi fate voi.

Da provare anche a colazione, con un bel toast... Anche perché, forse ancora non l'avete capito: lo yogurt fa be-ni-ssi-mo!

Alla vostra salute!

Bloody Gazpacho

Eccomi tornato! Un grande "scusa" a tutti quelli che aspettavano i nuovi post, e un complimenti a chi mi ha aspettato fin'ora. Ma bando alle ciance e ripartiamo alla grande con una ricetta adatta a questi giorni di giugno, i quali in realtà sono piovosi ma fingeremo non lo siano: il gazpacho andaluso.

Ogniuno ha la propria ricetta del gazpacho, e giustamente, visto che l'originale non ha neppure il pomodoro. L'importante, si dice, è che sia una zuppa fredda a base di aglio e aceto, poi ciascuno fa a modo suo. Io, dopo varie prove (sono un ossessivo compulsivo del frullatore) ho perfezionato la mia, personale variante, che ho battezzato "bloody" in virtù di un paio di scandalosi ingredienti tipici dell'omonimo "Mary": il tabasco e la salsa Worchestershire (ma niente vodka, please).

Garantisco digeribilità massima, fermo restando che si tratta di una peperonata fredda di frigo con cetrioli galleggianti.


Ingredienti: (x 4 persone)

Prima di tutto: senza frullatore non si va da nessuna parte. Con il minipimer da qualche parte si va ma in questo caso non molto lontano, e comunque non molto in fretta. Detto questo:
  • 8 bei pomodori maturi
  • 1 peperone rosso e 1 peperone giallo
  • 1 cipolla rossa
  • 1 spicchio d'aglio bello grosso
  • un bel pezzo di feta greca
  • una manciata di salame piccante tagliato a dadini
  • 1 cetriolo
  • 1 limone
  • 1 cucchiaio di aceto di mele
  • 2 cucchiai di olio extravergine di oliva
  • qualche foglia di basilico, prezzemolo e menta
  • Tabasco
  • Salsa Worchestershire
  • sale
  • 8 uova sode
Esecuzione:

Preparare un gazpacho, vedrete, è un'esperienza piacevolmente splatter: tutto questo succo di pomodoro per il tavolo, il frullatore che va a mille, schizzi rossi ovunque... davvero bello.

Buttate i pomodori per un minuto nell'acqua bollente (così li pelerete alla grande, ma non cuoceteli) pelateli e togliete i semi. Non frignate, FATELO se volete un gazpacho relativamente leggero. Poi nel frullatore.
Peperone rosso: via i semi e la parte bianca. Nel frullatore.
Aglio: via la buccia. Nel frullatore.
Cetriolo: via la buccia. NOOOOOO!!! Non nel frullatore. A pezzetti. Il cetriolo è l'ingrediente più indigesto, fate attenzione. Da adesso non frullate più niente. Eh lo so è così divertente... Trattenetevi.
Tagliate la cipolla rossa a pezzettini, sbriciolate la deliziosa feta, cubettate il salame piccante e il peperone giallo e aggiungete tutto al composto.
Adesso i liquidi: limone, aceto, olio, due gocce di tabasco e di salsa. Per il Tabasco e la salsa, mi raccomando, assaggiate! Deve sapere un po' di bloody mary, ma non troppo. Se avete ospiti andateci piano... sono sapori non graditi a tutti.
Schiaffate tutto in frigo, poi aggiungete le spezie solo al momento di servire, magari con dei cubetti di ghiaccio, superflui, dato il frigo, ma che fanno molto "siesta".

Servite con pane e uova sode in una ciotola a parte... la scarpetta con l'uovo è un must! Da bere va benissimo una birra.

Buon appetito e.... speriamo che smetta di piovere!!!


28.2.08

"Indigesto"

Da oggi fino al primo marzo, alla galleria Ninapì di Ravenna, si terrà uno spettacolo teatrale come non se ne vedono da parecchio. Una "tragicommedia gastroteologica", ambientata nell'antica grecia, in cui due ingenui e goffi ateniesi tentano di saziare con ogni mezzo una divinità auto-invitatasi a cena...

Gli amanti di questo blog non potranno perdersi le chicche grottesco-culinarie offerte da "Indigesto" (così si chiama lo spettacolo), presentato dal neonato TeatrOnnivoro (un nome che è tutto un programma...), inoltre chi si presenterà dichiarando: "Ho letto l'annuncio su Ricette Maledette" ed enunciando almeno tre numeri primi consecutivi da quattro cifre su un piede pagerà il biglietto solo 4 euro invece che 5! Quindi cosa aspettate? Venite tutti in massa a vedere "Indigesto" del TeatrOnnivoro!!!

Se non siete ancora convinti convincetevi qui: INDIGESTO - Tragicommedia gastroteologica.

P.S: Tenete soprattutto d'occhio l'attore Jean Pelouches... secondo me ha un futuro.

18.2.08

Ancora esotismi: la "prugna umeboshi"

Innanzitutto non è una prugna, come viene comunemente chiamata in Italia, ma una specie di albicocca.

E' il cibo più salato sulla faccia della terra, ne sono sicuro.

L'altra sera, a causa di una crapula digestiva di dimensioni notevoli (purtroppo/per fortuna ne soffro spesso, anche perché ho una masticata da pitone) mi spostavo come uno zombie incinta e mi lagnavo senza posa, ruttando acidi tipo babbo di Grisù, e nell'atto di coricarmi temevo che la qualità del mio sonno ne risentisse.

Allorché la mia protosuocera, ovvero la madre della mia morosa, fervente ambientalista, salutista, ex macrobiotica, mi ha proposto questo toccasana orientale che, nelle sue terre d'origine, viene considerato una vera panacea atta a curare praticamente ogni malanno, in special modo quelli immaginari, nonché miracoloso digestivo se associato a qualche generosa sorsata di tè kukicha.

Come sempre attratto da siffatte bizzarrie del sol levante, mi appropinquai ad assaporare a cucchiainate una umeboshi, che come scoprii in seguito su Wikipedia non è altro che il frutto della pianta Ume, considerato dai Giapponesi simbolo nazionale, pressato sotto sale (tanto, tanto, tanto sale... tantissimo sale!!!) e così conservato con tanto di nocciolo.

Ebbene, io ho letto che i nipponici utilizzano la umeboshi come condimento, per insaporire, con il suo gusto estremamente sapido, varie pietanze. Per esempio lessi che una singola umeboshi può essere piazzata al centro di un bel piatto di riso scondito, che oltre a renderlo simile alla bandiera giapponese probabilmente lo trasformerà anche nel riso più salato che il palato occidentale abbia mai assaggiato.

Sì perché non trovo le parole per dire quanto sia salato uno di quei piccoli e grinzosi frutti, o almeno quello che mi è capitato in bocca. Vero è che, come mio solito, mi sono avventato sulla prugna con cucchiainate generose anziché impercettibili come mi era stato suggerito, ma comunque la sostanza non cambia: talmente salata da farvi fare delle smorfie incontrollabili. Ecco perché, come accennavo, se vostro figlio accusa dolori al ventre e non trova che gli possa giovare andare a scuola, forse il rimedio per rimetterlo in sesto prima del suono della campanella è la proposta di curarlo con una buona umeboshi.

In ogni caso, va detto che subito la miracolosa somministrazione ho cominciato a dare dei gran rutti liberatori, e quella notte sono riuscito a dormire discretamente bene... anche mi sembra di ricordare che sognai di stare affocando nel grande lago salato, oppure che sepolto vivo in una salina, non ricordo bene... :)

5.2.08

Anche l'occhio vuole la sua parte: l'uovo "cent'anni"

Era da un bel po' che cercavo questa prelibatezza cinese, precisamente da quando ne vidi una foto in un blog...
Trattasi di un metodo orientale per conservare le uova che ricorda quello, scandinavo, delle orripilanti aringhe fermentate: le uova (spesso di oca) vengono sotterrate in un impasto di argilla, cenere, sale, riso e, sentite un po', calce viva (!! ma chi cazzo l'ha inventato tale metodo?) per dei mesi. Grazie ai misteri della chimica, l'alcalinità fa schizzare il ph dell'uovo a livelli assurdi e, come dice wikipedia,
"trasforma alcune complesse, insapori molecole in altre meno complesse ma più saporite"
Che adorabile eufemismo!
Una volta diseppellite, tali uova possono essere conservate per mesi senza problemi. Ciò è molto utile, ma ha un suo prezzo, diciamo, di tipo visivo/olfattivo.

Per quanto riguarda l'aspetto visivo, posso aggiungere alla ben esplicita foto qui proposta solo il fatto che il tuorlo ha la stessa consistenza di Slimer nel film Ghostbusters. Questo lo rende molto più appetitoso, vero? Per quanto riguarda l'odore, devo dire che ha proprio quell'odore che un uovo non dovrebbe avere: zolfo ed ammoniaca. Yumm!

Incredibilmente, se si riesce ad inghiottirlo (magari ad occhi chiusi... l'aspetto è proprio lo scoglio maggiore) è buono! L'albume non ha punto sapore, mentre il tuorlo sa di uova sode, con un tono molto più pungente, salato.

Consigliato a tutti, soprattutto in compagnia, a fine pasto...

Buon appetito!

19.1.08

Barrette di Mars Fritte

Esiste un paese, la Scozia, dove vive un popolo, gli scozzesi, dalle abitudini culinarie talmente malsane da farsi prendere per il culo perfino dai vicini inglesi. Gran bevitori di superalcolici, aborritori di verdura e frutta (quest'ultima viene consumata quasi esclusivamente sotto forma di zuccheratissime confetture) ma soprattutto grandi amanti del fritto in pastella gli scozzesi hanno regalato al mondo durante gli anni '90 alcuni piatti indimenticabili come il kebab fritto, la pizza fritta ma soprattutto la barretta di Mars fritta. Questa prelibatezza gastronomica ha visto un vero e proprio boom durante il decennio scorso, soprattutto tra gli adolescenti (i quali, si sa, per la crescita necessitano di un generoso apporto di ripieno mou) e per un breve periodo era arrivata a soppiantare l'Haggis come piatto nazionale.

Inutile precisare che gli scozzesi attualmente hanno l'aspettativa di vita più bassa del primo mondo, quindi se desiderate avvelenarvi anche voi potete provare questo semplice ma gustoso piatto, eccellente risorsa di grassi.

Ingredienti:
  • 1 barretta di Mars
  • 1 tazza di farina
  • 1/2 tazza di farina di mais
  • 1 cucchiaino di bicarbonato
  • birra scadente
  • olio da frittura che per anni non avrete mai cambiato
Esecuzione:

Innanzitutto tenete la barretta di Mars in frigo, e non nel congelatore.

Poi preparate la pastella mischiando accuratamente le due farine, il bicarbonato e la birra, fino ad ottenere una cremina sottile. (Non bevetevi tutta la birra, dannazione!) Scaldate l'olio ma non fatelo fumare oppure, se volete proprio avvelenarvi, fatelo fumare, ma sì! Respirate a pieni polmoni il fumo dell'olio bruciato... Ah, quasi dimenticavo: togliete la barretta dal suo involucro (si può friggere anche con la carta argentata, ma noi preferiamo di no) e immergetela ben benino nella pastella.

Ora tuffate questa bella barretta di Mars nell'olio dove, se siete veri scozzesi, staranno già nuotando sfrigolanti patatine, un kebab, una pizza Ristorante Cameo appena tolta dal congelatore, una bottiglia di Ballantines ancora nel sacchetto di plastica, un criceto vivo e una scarpa da tennis.

Quando la pastella sarà dorata come nella foto, togliere dall'olio e, stando attenti a non sgocciolare il prezioso unto, servire con patatine fritte o gelato al cioccolato.

Si accompagna idealmente con un whisky del discount, redbull & yegermaister, oppure un Mister Muscolo Idraulico Gel del 1987.

Have a nice meal!

16.1.08

Risotto Mantova-Milano-Pechino express

Questa ricetta "fusion" nasce dall'incontro fra la tradizione mantovana, ovvero il risotto "col puntél", e una rara bizzarria esotica di Tognazzi, ovvero le prelibate, sublimi costine "alla Mao" presenti sul già citato libro "L'abbuffone".
Chi l'avrebbe mai detto, insieme fanno un piatto incredibile.


Ingredienti: (x 4 persone)

per le costine:
  • dalle 12 alle 24 costine, dipende dall'appetito
  • 6 cucchiai di salsa di soja
  • 6 cucchiai di zucchero di canna
  • 2 bicchieri di vino bianco, va bene anche quello in cartone, tanto non dovete berlo
  • noce moscata
  • cannella
  • zenzero
  • peperoncino in polvere
  • 2 spicchi d'aglio
  • sale
per il riso:
  • 850 gr. d'acqua (sì, va pesata, altrimenti non esce)
  • 200 gr. di riso
  • sale grosso
  • parmigiano reggiano
Esecuzione:

Partiamo da Mantova, anno di grazia 1800 e rotti.

Vediamo, tra le risaie, gli adetti alla pilatura del riso, detti "piloti", preparare un prelibato risotto alla codesta maniera: in una pentola assai pesante (di ghisa o di coccio, altrimenti non se ne parla) essi versano l'acqua e la pongono tra le braci. Voi moderni potete anche usare i fornelli. Dopo averla salata, al suo dibollire, vi pongono il riso con un metodo bizzarro: utilizzano un foglio di carta in guisa di imbuto di modo che i chicchi, cadendo praticamente ad uno ad uno, formino una ispecie di piramide il cui vertice deve sporgere di circa un dito dal pelo dell'acqua. Indi, al rialzarsi del bollore, la scotono quanto basta per fare immergere la parte di riso affiorante.

Dopo 7 minuti esatti, levano la pentola dal fuoco, la incoperchiano e la avvolgono in stracci, panni e coperte per mantenerla più calda possibile (usate quel che vi pare ma, per Dio, non il plaid!!). La lasciano così, senza tangerla, per 15 minuti, mentre continuano il loro nobile ma faticoso lavoro. Dopodichè, questi gagliardi uomini mantecano il risotto (non scolatelo per carità!) con il parmigiano, e lo accompagnano con le costine di maiale...

ALT!!! Salto spazio-temporale...

Milano, 1978. Il signor Tognazzi Ugo, per fare vedere ai suoi invitati che anche lui sa cucinare cinese, prende 6 cucchiai di salsa di soja, altrettanti di zucchero di canna, 2 bicchieri di vino bianco, due spicchi d'aglio schiacciati o spezzettati finemente e li versa in una capace zuppiera (avete mai notato che le zuppiere nelle ricette sono sempre "capaci"? ...mai che uno dica solo "in una zuppiera"...).

Aggiunge poi cannella, zenzero, e noce moscata grattugiati, un poco di peperoncino e un poco di sale, poi mischia mischia mischia mischia mischia virilmente come lui si vantava di saper fare, fino ad ottenere una salsina nera dall'odore rivoltante, infine vi immerge completamente le costine per due, tre, quattro ore, ma sì, fate come me: tutta la notte!

Il giorno dopo le costine, opportunamente scolate, vanno messe nel forno già a 200° e cotte fino a che non si abbrustoliscono, poi girate e fatte abbrustolire ancora, infine servite come puntèl del risotto alla pilota: ovvero il riso al centro del piatto, e le costine a corona tutte intorno. Cucina veramente fusion!

Buon appetito!/ Chiun Hi Liao!

P.S: Cos'ha di maledetto questa ricetta? Forse niente, però è trooooooooppo cool!

23.12.07

Zuppa di ginocchia di mucca

Sono sempre stato un appassionato di piatti preparati utilizzando tagli di carne molto poco nobili, pietanze povere ma saporitissime. Questo piatto senegalese ha quindi incontrato la mia simpatia, anche perché va cotto per ore ed ore intiere. Come piace a me.


Ingredienti: (x 4 pers.)

  • 3 o 4 piedini di manzo o vitello
  • 4 porri
  • 1 cipolla
  • Peperoncino
  • Dado di carne
  • Sale e pepe
Esecuzione:

Un'avvertenza: si tratta di una ricetta africana e quindi lo scopo, oltre che essere buona, sarebbe quello di estrarre dalle ginocchia della mucca quante più sostanze nutritive possibile. Non è adatta a ragazze in dieta, insomma, alle quale magari è più consigliabile fare direttamente un viaggio a piedi per l'Africa.

Cominciamo: non so dove Big, il simpatico autore del piatto da cui questa ricetta è stata estrapolata, si procuri i piedini di manzo. Immagino che frequentando un poco quelle macellerie islamiche che fanno tanta paura sarà un gioco da ragazzi. Forse anche il vostro macellaio Marcello ve li può tenere da parte, guardandovi un po' storto ("a che le servono, signora?")... Il certo è che non costeranno un patrimonio.

La preparazione è di africana ed austera semplicità, ve la esporrò quindi calandomi un poco nella parte.

Quando il sole feroce batte a picco sulla savana, la polvere riarsa soffoca i sospiri dei cacciatori, e la gazzella si abbevera ignara della leonessa... insomma di pomeriggio date una sciacquata in acqua corrente ai piedini e metteteli in una casseruola piena d'acqua per metà. L'acqua, ovviamente, l'avrete presa dal pozzo lontano almeno 20 kilometri, rigorosamente a piedi scalzi.

Tagliate a fettine i porri del vostro orticello, che quest'anno, a causa della carestia, delle cavallette, dei predoni, insomma di un serie di sfighe tipiche del continente nero saranno solo 4. Unite la cipolla anch'essa a fettine, poco sale e pepe, il dado (il dado in Africa?!?!) e il peperoncino (si, vabbè, più che in Africa siamo in Calabria...) coprite tutto e basta. Come basta? Sì, basta: bisogna aspettare che le cartilagini si sciolgano per diventare parte fondante del brodone verdino, grasso e saporito che si mangerà a cena, tutti quanti attorno al fuoco, tra balli tribali e amenità varie.

Ci vorranno almeno 3 o 4 ore, ma anche di più a seconda di quanto del "ginocchio" volete che diventi "zuppa". Io consiglio un pomeriggio intiero, 7 ore nette, per un risultato veramente ottimale... ma so che nessuno di voi, mai, passa il pomeriggio in casa a cucinare. Che vi devo dire? 3 ore in pentola a pressione? In Africa la pentola a pressione? Sia mai!
Se dovesse stringere troppo allungate con mestoli di brodo di dado, usanza diffusa nella costa sud del Senegal. Al momento di servire in tavola spolpare le ossa con gran disgusto dei commensali e buttarle. Oppure, ancora meglio, si possono servire i piedini nel piatto e succhiarli con gran rumore, metodo ottimo per cene radical-chic.

E' un piatto decisamente corroborante, in pratica carne liquida... mhhhh.. il genere di cose che mi fa uscire pazzo. Non siete lontanti dal vero se pensate che sappia di carne in stufato. Solo che non c'è il vino, bandito da sempre nella cucina Africana! E non azzardatevi a mettercelo!!!

Un ringraziamento speciale allo Zio Dennis per avermi procurato la ricetta! ;)

Buon appetito!

13.12.07

Il cibo più disgustoso del mondo: l'aringa fermentata

Sebbene io sia, a detta di coloro che mi conoscono, decisamente poco schizzinoso in fatto di cibo e abbastanza audace nello sperimentare bizzarrie culinarie di ogni sorta, sono rimasto esterrefatto dal fetido, disgustoso, rivoltante lezzo sprigionato da una latta di aringhe fermentate, delicatessen del nord della Svezia che ebbi l'opportunità di assaggiare quest'estate proprio nel paese scandinavo.

Mi limito a dirvi che si tratta di aringhe del Baltico che, private della testa e aggiunte solo di un insignificante pizzico di sale, vengono messe a fermentare in latte fino a che la pressione interna, creata dai miasmi della fermentazione, non deforma il recipiente al punto da renderlo oblungo (roba del genere da noi sarebbe illegale, e infatti è vietato trasportare tali latte su molti aerei di linea... questo la dice lunga). Andrebbero poi "gustate" all'aperto (la puzza renderebbe per sempre invivibile qualsiasi luogo chiuso) accompagnate con una sorta di piadina locale, cipolle rosse crude, patate novelle e panna acida. L'analisi organolettica? Odore di uovo marcio, pattumiera al sole d'agosto, carogna di nutria, alito di cane randagio, fogna di Calcutta, roba da conati di vomito. Eppure l'assaggiai.

Se ho stuzzicato la vostra curiosità, sul blog de L'Uomo Integrato, mio compagno di disavventura in quel frangente, potete trovare un dettagliato ed esauriente reportage di quella orrenda cena a base di surstromming (nome indigeno di tale atrocità culinaria). Da parte mia, aggiungerò solo che per settimane intere dopo avere mangiato quella prelibatezza il solo ricordo dell'odore che aveva il mio alito dopo un paio di bocconi di aringhe era sufficente a provocarmi nausea e a farmi perdere completamente l'appetito. E dire che io, di appetito, di solito ne ho parecchio.

Buona lettura.

Polenta a pressione della nonna Serena

In questo periodo d ingiustificati festeggiamenti, dalle mie parti si usa gozzovigliare con ampie libagioni di cotechino, lenticchie e polenta. Sulla cottura dei primi due non ho particolari segreti da svelare, ma conosco un bizzarro e comodissimo metodo di fare la polenta tramandatomi da mia nonna Serena, capocuoca del ristorante di famiglia per parecchi decenni, a cui vanno affettuosissimi ringraziamenti.
Si tratta di cucinarla nella pentola a pressione.

Ingredienti: (x 4 pers.)

  • Farina di mais bramata o "bergamasca" 500 gr
  • acqua 2 l
  • sale grosso
Esecuzione:

Mettete l'acqua nella pentola a pressione a fuoco alto. Quando sobbolle, salatela, e quando il sale si è sciolto, aggiungete mezzo bicchiere di acqua fredda per fermare il bollore di un paio di minuti. Versate la farina a pioggia mescolando continuamente affinché non si formino grumi. Quando la polenta fa le prime "bolle", chiudete ermeticamente, stando attenti a non scottarvi con i lapilli gialli (vi consiglio di fare in fretta).

Appena udite il caratteristico fischio abbassate la fiamma, e appena olfate odore di polenta bruciaticcia (ma proprio subito!) spegnete il fuoco ed aprite la valvola. Saranno passati dai 5 ai 15 minuti e non, come vuole il metodo ortodosso, 45 minuti di continuo, sempre più ostico e duro rimestolìo. Una bella differenza, eh? Mia nonna è una che ci sa fare.

Rimestate ancora per un paio di minuti, poi rovesciate su una spianatoia. Vi assicuro che è identica alla polenta tradizionale, in tutto e per tutto.

P.S: E' più facile, ma non scontato, che venga bruciaticcio il fondo della pentola con questo sistema, ma del resto a me veniva bruciaticcio anche con tutti gli altri metodi. Il mio consiglio è di tenerla tutta la notte in ammollo in acqua calda e il giorno dopo, se serve, lavorare un po' di paglietta.

Buon appetito e... grazie nonna!